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LUIGI TENCO
Scuro Chiaro

LUIGI TENCO

Tenco, il cantautore della malinconia

“Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda ‘Io tu e le rose’ in finale e una commissione che seleziona ‘La rivoluzione’. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi”.

Sono le ore 2 del 27 gennaio 1967 all’Hotel Savoy di Sanremo e Luigi Tenco ha appena finito di scrivere le sue ultime parole prima di chiudere con un colpo di pistola la sua breve vita. Aveva solo 28 anni e non ci ha pensato un momento in più… Booom! Dovevano essere giorni di festa! Era in onda in diretta nazionale il Festival di Sanremo… E invece… Dopo poco la hall dell’hotel si riempì di giornalisti e cantanti accorsi alla notizia che “Tenco si è ucciso”!

tencoLo troveranno esanime sul pavimento la cantante francese Dalida e successivamente Lucio Dalla. Ma chi era Luigi Tenco? Nasce a Cassine (provincia di Alessandria) il 21 marzo 1938. Dopo gli studi di ingegneria all’Università di Genova inizia a comporre canzoni definite “rivoluzione” in cui vengono decantati i tratti della società italiana degli anni 50-60: il sentimento nella sua nuda verità, l’amore sotto i suoi molteplici punti di vista, le esperienze di vita fino alla critica sociale come la politica, i diritti della donna, la guerra e i temi dell’emarginazione (anticipando cosi i temi del ’68). La sua prosa (malinconica e a volte aspra) ricorda gli eroi tormentati del rock alternativo prima ancora dei cantautori degli anni ’70. Infatti insieme ad artisti del calibro di Fabrizio De Andre’, Bruno Lauzi, Gino Paoli e Umberto Bindi è uno (se non il principale) esponente di un nucleo omogeneo di artisti genovesi che cambiò nel profondo la musica leggera italiana. Nei primi anni della sua attività viene accompagnato dal gruppo dei “Cavalieri” fra cui si possono trovare nomi molto importanti della musica italiana quali Enzo Jannacci al pianoforte, Gianfranco Reverberi al vibrafono, Paolo Tomelleri al clarino, Nando De Luca alla batteria. Purtroppo viene considerato poco dal pubblico e dalla critica, per il singolo successivo chiamato “Amore”, Tenco usa lo pseudonimo di Gigi Mai. Curiosità: utilizzerà altri due pseudonimi. Il primo Gordon Cliff nel 1960 per il singolo “Tell me that you love me/Parlami d’amore Mariù” e il secondo Dick Ventuno per il singolo “Quando” nonché anche le cover delle canzoni “Notturno senza luna” e “Qualcuno mi ama”.

“Io compromessi non ne ho mai fatti, con nessuno, perchè non ne so fare, non riesco a venire a patti con la coscienza, con certe mie convinzioni. Io sono come sono. Eppoi la mia non è una protesta che nasce intelletualmente, con il fatto di dire adesso io… Cioè io insomma le canzoni come le fa Gianni Morandi non le so fare.” (cit. Tenco, al “Beat 72”, Roma, 1966)

Dal 1959 al 1963 incide per il gruppo Ricordi un album che prende il suo nome e una ventina di singolo, tra cui “Mi sono innamorato di te” e “Io si”. Nel 1966 l’incontro con la cantante francese Dalida da cui nascono due singoli “Un giorno dopo l’altro” e “Lontano, lontano” e una relazione. Tenco era “avanti”. Piu’ di tutti! Lo era per il suo passato musicale e per la tensione ideale. Viene da pensare che uno come lui non si spara mica! Un personaggio del suo calibro avrebbe sicuramente avuto tanto ancora da dire, credere, amare: basta pensare che nei suoi brani si nasconde il non irrinunciabile desiderio di vedere la luce “vera” sulle azioni e sulle emozioni umane. Per dirla in poche righe: Tenco aveva iniziato una vera rivoluzione che mettesse sottosopra le vigenti ipocrisie e sognava l’ambizione di una nuova musica destinata non ad un pubblico di nicchia (come molti autori del periodo invece ottenevano) ma alle grandi platee. Voleva arrivare a tutti! Va ascoltato, riascoltato e capito nella sua interezza. 

 

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“Canterò finché avrò qualcosa da dire e quando nessuno vorrà più ascoltarmi bene, canterò soltanto in bagno facendomi la barba ma potrò continuare a guardarmi nello specchio senza avvertire disprezzo per quello che vedo.” (cit. Tenco)

E’ il 26 gennaio 1967 quando Luigi Tenco si presenta al Festival di Sanremo con il brano “Ciao Amore Ciao” (le cronache raccontanto che Fabrizio De André disse che ci andò controvoglia). Si presentò con un brano modificato per non incorrere nella censura (data dal significato del brano antimilitarista). Finisce dodicesimo e non viene nemmeno ripescato (dal momento che riceve 39 dei 900 voti della giuria e al suo posto passa il turno il brano di Gianni Pettenati dal titolo “La Rivoluzione”). Poco prima di salire sul palco si rivolge al conduttore del Festival (Mike Bongiorno) rivolgendogli un: “Questa è l’ultima volta”, sintomo di un malessere sempre più imponente. Termina la sua esibizione in malo modo, molto probabilmente sotto effetto di alcol e farmaci, a tal punto che il maestro Gianfranco Reverberi fece fatica ad accompagnare il cantante nel brano. Venne successivamente comunicata l’esclusione dal Festival mentre era disteso su un tavolo da biliardo. Disse che aveva chiuso con il mondo del canto e che voleva fare l’autore. Da qui il tragico epilogo. Finisce cosi la storia di Luigi Tenco, probabilmente desideroso di colpire tutti con i suoi messaggi e desideroso da un lato dalla voglia di essere riconosciuto come un artista dal più ampio pubblico possibile e dall’altro dal rimanere autentico, senza coinvolgimenti “commerciali” e senza dimenticare la sua vena poetico-canora. Un poeta della canzone e un malinconico dei veri valori del cuore. Da ascoltare e amare. 

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