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Play Play Play, quando giocare non significa solo giocare!

Il verbo inglese play mi affascina. E’ intraducibile in italiano, o meglio, è intraducibile con un sola parola. Play a game,  play an instrument, play a role, in italiano diventano giocare un gioco, suonare uno strumento, recitare un ruolo. Tutte traduzioni perfette ma che perdono il significato vero e più profondo della parola PLAY.

Ci ho ripensato ultimante, leggendo un libro, bellissimo e introvabile  in lingua italiana, di gioco, che racconta un popolo, quello giapponese,  attraverso il gioco. Ovviamente non il gioco nel senso limitativo che gli dà la lingua italiana, ma nell’accezione più ampia di quella inglese.

Giocare sembra un attività molto semplice. Ma più ci pensiamo, più l’analizziamo, più questa si rivela complessa ed elusiva”  scrive Massimo Raveri.  Gli adulti spesso snobbano il gioco ritenendolo un’attività marginale e superflua, senza rendersi conto che quest’ultimo è sempre presente nelle nostre vite e ci può definire come persone e come popolo.

Per capire fino in fondo l’importanza del gioco è necessario prima definirlo. Per farlo, non utilizzerò un dizionario o un enciclopedia  ma vi farò degli esempi che partono dal’immaginario più vicino al vissuto che ne abbiamo.

Oltre a tutti i giochi che abbiamo conosciuto da bambini e che a volte facciamo da adulti (chi di voi fa una partita alla Playstation ogni tanto?) il gioco per eccellenza è lo sport. Non per niente, FGIC è l’acronimo di Federazione Italiana Giuoco del Calcio. In questo caso domina, sull’aspetto del divertimento  e dell’intrattenimento, l’agonismo. Nello sport si vince o si perde, e a chi dice che l’importante è partecipare tende a dimenticare che il divertimento è maggiore quando si raggiunge la vittoria.

Ma fin qui tutto facile. Ci sono poi i vari giochi dove la sorte, più che l’abilità, la fanno da padrone e quindi partiamo con l’elenco delle varie lotterie, bingo, tombole, gratta e vinci e chi più ne ha più ne metta, fino ad arrivare al gioco d’azzardo, che oggi ha preso sempre più piede e sta diventando un problema sociale. Il gioco a volte può diventare una malattia, dove può la sorte e non può l’abilità il confine tra patologia e divertimento è labile.

E ora veniamo a tutto quello che per gli inglesi rientra nella sfera del PLAY ma che in italiano abbiamo definito con altri verbi: suonare e recitare ad esempio. Ma che aspetto ludico ci sarà mai in queste due attività soprattutto se fatte da un professionista, che lo fa di mestiere?  Senza entrare nei dettagli di una spiegazione antropologica proverò a delineare gli aspetti che rendono queste attività molto simili al concetto di gioco. Uno degli aspetti fondamentali del gioco dei bambini è il ‘fare finta’. Il teatro, il cinema, il canto altro non sono che un ‘fare finta’, un mettersi nei panni di qualcun altro per renderlo vivo e reale, attraverso una storia.

Chiudo citando sempre Raveri

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Cominciare a giocare significa entrare liberamente e appassionatamente in un’altra realtà, un modo parallelo e astratto delimitato nello spazio e  nel tempo”.

Così tutto quello che ci conduce in questo mondo magico diventa gioco, diventa il modo attraverso cui interpretiamo il mondo, lo rielaboriamo e lo ristrutturiamo.

Per i coraggiosi  su Amazon potete acquistare la versione in lingua originale del libro: Japan at Play

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