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Lucio Battisti – Il nostro caro angelo
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Lucio Battisti – Il nostro caro angelo

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9 settembre 2018 – 20 anni senza Lucio Battisti

Un grande artista che ha cambiato la storia della musica italiana.
Un artista che ha prodotto una quantità veramente considerevole di canzoni quasi tutte indimenticabili: ben 20 album, 22 singoli; scrisse circa una sessantina di brani per altri cantanti di cui almeno 40 di questi furono successi da Hit Parade.
Un artista che, come spesso accade per quelle persone geniali che hanno una visione diversa e che va oltre la conoscenza e i gusti comuni, è stato fonte di pareri controversi e oggetto, soprattutto negli ultimi anni della sua carriera, di aspre critiche.

Lucio Battisti era un musicista autodidatta, con una musicalità e un senso del ritmo eccezionali, secondo quanto hanno dichiarato alcuni musicisti con cui Lucio suonò agli inizi della sua carriera.

Come premio alla fine delle scuole medie si fa regalare una chitarra e comincia a strimpellare, dedicando ogni momento libero alla musica.
Suona in qualche piccolo gruppo, giunge a suonare in un gruppo (I Mattatori) a Napoli, finché, da poco diplomato, in procinto di essere assunto in una ditta di manutenzione di ascensori, gli capita la proposta di sostituire il chitarrista di una gruppo allora di una certa fama, I Campioni.
Con questo gruppo giunge a Milano) dove comincia a bazzicare gli ambienti delle case discografiche e conosce Petruccio Montalbetti (cantante e chitarrista dei Dik Dik).
Da lì i primi temi tentativi come autore, poi l’incontro fondamentale con Mogol, le prime canzoni scritte per altri cantanti e infine i primi singoli dove Battisti, dopo diverse insistenze da parte di Mogol, si convince a cantare lui stesso le proprie canzoni.

Il primo successo discografico cantato da lui è “Balla Linda”.

Battisti è soprattutto un musicista. La sua musica è una miscela di rock, rhytm and blues, soul, che tocca anche il beat, la disco, il folk, la musica latina, il tutto condito con melodie italiane con un sentore (secondo qualcuno) pucciniano.
Una musica che non è però un taglia e incolla di tutti questi generi. Lucio assorbe, indaga, ascolta tutti questo e poi digerisce, rielabora, dando luogo ad un prodotto solo suo e sempre nuovo.

Non è un paroliere Lucio, ma l’incontro con Giulio Rapetti Mogol, dà luogo a piccole poesie del quotidiano.
Perché Battisti è il cantore delle piccole cose, dell’amore, del lavoro, della fatica del vivere, del supermarket, dei treni e le stazioni, ma anche la natura, ”le discese ardite e le risalite”, i “giardini di marzo vestiti di nuovi colori, “il mare aperto e il deserto”.

Lucio non era un cantante, non aveva una grande voce, esile, roca e talora stridula, ma Mogol insiste perché cominci a cantare i propri brani e dimostrerà di aver visto giusto perché Lucio trasmetteva emozione.
Come disse lui stesso

“Io canto avendo in mente una persona davanti a me, quando la gente sentirà il disco, si convincerà di essere quella persona”

Due sono, quindi le caratteristiche del fenomeno immortale Lucio Battisti: la musica, la qualità della sua musica è sempre di altissimo livello e le emozioni che sono il suo grande punto di riferimento.

«Un musicista, se la propria musica comunica ed emoziona realmente, non ha nulla da spiegare e null’altro da aggiungere a quello che si ascolta nei suoi Ip.» (Battisti)

Poi c’è l’uomo Lucio, un uomo (per quello che si può dedurre dalla sua vita e dagli amici e collaboratori più stretti), timido, introverso, determinato per quello che riguarda la passione della sua vita, la musica, geloso in modo quasi paranoico della sua vita privata, dei suoi affetti.

Questi tratti del suo carattere, della sua personalità, l’hanno portato, prima di tutto a fare pochi tour.

Non è stato un artista da palco.

«Non faccio tournée né spettacoli perché mi sembra di vendermi, di espormi in vetrina: io voglio che il pubblico compri il disco per le qualità musicali e non per l’eventuale fascino del personaggio.» (Battisti, 1980)

Battisti è stato più un artista da studio, professionista metodico e infaticabile che vedeva nel rinunciare alle tourné dei vantaggi per la miglior riuscita del suo lavoro.

«Intanto, non vivi e, come ho detto, io intendo seguire questa professione, intendo guadagnare, intendo divertirmi, intendo avere successo, ma intendo anche vivere. […] Non solo, ma le ripercussioni più grandi quali sono? Proprio quelle del lavoro: e chi me lo dà il tempo di stare la mattina, da quando mi alzo, dalle otto alle quattro del pomeriggio, con la chitarra a suonare? Perché, ripeto, le canzoni mica scaturiscono così. […] Intendo conservare la mia autonomia, la mia personalità per quanto possibile, e una delle cose che ti spersonalizzano al massimo sono le serate.» (Battisti, dicembre 1970)

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Si occupò anche di registrazione, di produzione, creò una casa discografica sua.

Il suo carattere, dicevamo, lo ha portato anche ad interrompere, almeno per un certo periodo, l’amicizia e la collaborazione con un suo amico della prima ora Petruccio Montalbetti.
Probabilmente il suo bisogno di cercare sempre nuove vie, di sperimentare nuove possibilità lo ha portato ad allontanarsi progressivamente fino ad interrompere, senza una reale spiegazione, il suo sodalizio durato ben 16 anni con Mogol.

«Il nostro rapporto è il rapporto di due persone di questo tempo che dopo tanti anni di lavoro assieme […] improvvisamente, per divergenze di interessi, si sono messi ognuno su una sua rotaia, su una sua strada, per cui adesso da quattro o cinque anni a questa parte ci vediamo al massimo un mese all’anno. […] È l’esperienza di due persone che stanno diventando completamente diverse.» (Battisti parla del rapporto con Mogol, 18 maggio 1979)

Il suo bisogno ossessivo di proteggere la sua vita privata lo ha portato ad allontanarsi completamente dal mondo pubblico; non ha più voluto rilasciare interviste, addirittura non compare neanche più la sua immagine sulle copertine dei suoi dischi

«Tutto mi spinge verso una totale ridefinizione della mia attività professionale. In breve tempo ho conseguito un successo di pubblico ragguardevole. Per continuare la mia strada ho bisogno di nuove mete artistiche, di nuovi stimoli professionali: devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte.» (Lucio Battisti nella sua ultima intervista del 1979)

Battisti, comunque, rappresenta una svolta nel mondo della musica italiana, nel modo di far le canzoni (cosi come lo fu Modugno nel ’58), nel modo di fare il disco stesso.

Veramente “un angelo caduto dal cielo” questo è stato Lucio Battisti e come un angelo ha “scritto” la sua ultima canzone L’arcobaleno cantata da Celentano e scritta da Mogol-Bella.

Questa canzone sembra che sia nata così: Gianfranco Salvatore (musicologo e critico musicale italiano), dopo una serata musicale in memoria di Lucio (l’unica che si sia riusciti a fare perché poi la moglie ha posto il veto a qualsiasi commemorazione), fece un sogno in cui c’era Lucio e un Arcobaleno.
Poco dopo a Mogol giunse una telefonata di una, sembra, medium spagnola che gli riferì un messaggio trasmesso da Lucio con l’indicazione di parole tratte da una poesia e la richiesta di trarne una canzone.
Inizialmente Mogol era restio, ma poi Bella scrisse la musica e nacque la canzone L’Arcobaleno che possiamo ritenere a tutti gli effetti l’ultimo dono di Lucio.

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