Cuore di Cane, in scena al Piccolo Teatro Grassi fino al 10 marzo, svela l’ipocrisia di una società borghese e di un’umanità intera.
Tanti gli spunti di riflessione lasciati allo spettatore a fine spettacolo e tanta la verità e la bellezza portate sul palco: inevitabilmente chi siede sulle poltrone si sente trascinato nella storia di “Cuore di Cane” e in parte preso in causa, identificandosi in uno o in un altro comportamento.
La Russia degli anni ’20, il regime di Stalin e il crescente peso della dottrina comunista. Un ricco scienziato scopre quella che, a parer suo, è la chiave dell’eterna giovinezza: l’ipofisi. Decide così di effettuare un primo trapianto di ipofisi su un cane randagio, con l’intento di consegnarsi alla scienza come il nuovo Copernico. Purtroppo, o per fortuna, avviene qualcosa di decisamente inaspettato: anziché ringiovanire, il cane si trasforma in uomo.
Inizialmente il suo cervello pensa ancora come quello di un cane e ci vorrà molta fatica da parte dello scienziato e dell’assistente prima di riuscire a renderlo un vero uomo, ma tale diventerà e apprenderà alla lettere tutti i sani princìpi che gli verranno insegnati.
Ed è proprio sul finale che tutte le lezioni imparate da Pallinov (così ribattezzatosi in forma umana) si riveleranno in realtà non assolute ma applicate dall’uomo caso per caso a suo piacimento e a suo favore; qui l’inconsistenza delle presunte virtù umane si svela in tutta la sua viltà e allora sorge una fatidica domanda: cosa distingue l’uomo dall’animale? Cosa ti rende uomo?
La prima parte, più lenta, introduce lo spettatore al dinamismo e al pathos della seconda parte, che invece tiene tutti gli occhi in sala avvinti allo svolgimento della storia.
La recitazione degli attori è ineccepibile e ognuno rende nella voce le caratteristiche proprie del ruolo che incarna all’interno non solo dello spettacolo ma di tutta la comunità, a partire dall’austerità del dottore (Sandro Lombardi) mantenuta anche nei momenti di eccitazione e di, in ultimo, umiliazione. In ordine alfabetico compongono il cast Lorenzo De Maria, Giovanni Franzoni, Sandro Lombardi, Lucia Marinsalta, Paolo Pierobon, Bruna Rossi.
Menzione particolare merita Pallino/Pallinov (Paolo Pierobon) che stupisce tutti con la sua ecletticità. Sembra davvero di assistere alla metamorfosi dell’attore stesso che cambia sotto ogni profilo, come si deve alla trasformazione da cane a uomo pensante. Nella prima parte lo spettatore prova compassione nei confronti di quell’essere così in difficoltà nel camminare eretto o nel parlare tanto quanto nella seconda prova timore per la sicurezza dello stesso essere e per la sua rabbia repressa. Questo mutamento di situazione provoca nel pubblico un effetto di spiazzamento che mantiene viva l’attenzione fino alla fine.
Le scenografie minimali e scure (Marco Rossi) rendono bene l’aspetto cupo della vicenda che va sviluppandosi drammaticamente fino all’inaspettato finale.
La regia è di Giorgio Sangati e il testo, che accompagna in modo eccellente l’inconsapevole pubblico al capovolgimento della situazione, è di Stefano Massini ed è tratto dall’omonimo romanzo di Michail Bulgakov.
Uno spettacolo complesso e dal quale non uscirete più leggeri ma sicuramente con qualche domanda in più di quando siete entrati, e d’altronde è proprio questa la capacità del teatro: permettere al pubblico di vivere “in prima persona” e di riflettere su questioni che nella vita quotidiana non sempre ci accorgiamo siano invece fondamentali.