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Grandi Spettacoli per Piccoli: “ARCHI DELLA SCALA”
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Grandi Spettacoli per Piccoli: “ARCHI DELLA SCALA”

Al Teatro alla Scala per i più piccoli: “ARCHI DELLA SCALA”

Vivaldi, maestro del Barocco


Se ci limitiamo ai concerti per un solo solista, Antonio Vivaldi (1678-1741), maestro inimi- tabile dell’età barocca, ci ha lasciato 220 concerti per violino (tra cui Le quattro stagio- ni), 37 per fagotto, 27 per violoncello, 19 per oboe, 13 per flauto traverso, 2 per flauto drit- to, 3 per flautino, 1 per mandolino, 7 per viola d’amore, editi solo in piccola parte vivente l’autore. Il Concerto in re min. RV 127, nella classica forma Allegro, Largo, Allegro, non ha invece solista ed è suonato da un gruppo d’archi con l’accompagnamento del basso con- tinuo. La foga irruenta dell’attacco ci fa comprendere quanto a suo tempo la musica dell’ir- requieto “prete rosso” venisse considerata molto passionale, oggi diremmo romantica. E comprendiamo anche perché Vivaldi si fosse cimentato nell’opera, non sempre con grande successo. I due tempi estremi, primo e terzo, sembrano quasi delle arie di tempesta. Anche la Sinfonia in sol magg. RV 146, sempre in forma tripartita (Allegro, Andante e sempre pia- no, Presto) è un brano per gruppo d’archi senza un solista. La temperatura emotiva del bra- no è meno ansiosa del brano precedente, salvo il Presto finale, che si esprime comunque con un contegno probabilmente dettato dalla forma seriosa della sinfonia.
Le quattro stagioni divennero popolarissime già sin da quando, nella Amsterdam del 1725, iniziarono a circolare le prime copie stampate dall’editore La Cène, in cima ad una raccolta già molto “descrittiva” come Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione. L’opera fu dedicata al conte Wenzel von Morzin (cugino del futuro protettore di Haydn) e sin da allora questa musica, come possiamo immaginare, piacque infinitamente. Tanto che si eb- bero notizie di svariate esecuzioni, almeno prima della morte di Vivaldi (1741) e del mu- tamento di gusto del secondo Settecento: non solo, abbiamo testimonianza che in luoghi pubblici come il Concert Spirituel di Parigi, La Primavera verrà programmata per ben tre volte, già nel 1728, e poco più tardi analogo consenso gli toccherà nella residenza regia di Luigi XV, a Marly. L’anno è il 1730. Incorniciata sotto l’impalcatura del tradizionale con- certo in tre movimenti (vivace-adagio-vivace), con un vocabolario retorico schiettamente vivaldiano e una puntuale “didascalia” nei movimenti lenti (ad ogni immagine è abbinato uno strumento, ma potremmo anche dirlo alla rovescia) la musica delle Quattro stagioni segue passo passo i relativi quattro sonetti inclusi nell’edizione a stampa. Ne scaturisce un campionario unico di situazioni comuni, sin ovvie: accadimenti metereologici stagionali, fantasie zoologiche, immagini della natura, riti sociali. La descrizione sottostante segue il contenuto delle poesie tradotte in musica da Vivaldi.


LA PRIMAVERA


Allegro. La primavera appare come una ragazza che entra in scena a passo di danza. Subito il violino imita il canto degli uccellini che la salutano, tutti in festa. Poi scorrono dolcemente i ruscelli. Ma all’improvviso il cielo si fa nero, annunciato da tuoni e lampi. Per fortuna il temporale non dura. E gli uccelli riprendono il loro canto mentre la prima- vera prosegue la sua danza.
Largo. Dopo una piccola pausa, la musica si fa lenta. I violini rendono il mormorio delle fronde degli alberi. Contemporaneamente le viole imitano un cane che abbaia. Una bellis- sima melodia lenta descrive un prato fiorito sul quale dorme tranquillo un pastore di capre, che neppure il suo cane riesce a svegliare.
Allegro. La primavera si conclude con una danza di pastori al suono di una zampogna. È una gran festa in mezzo alla natura.


L’ESTATE


Allegro non molto. Il sole scalda gli uomini e le pecore e fa quasi bruciare il terreno. Tut- ti sono senza forze, spossati dal caldo. Canta un cuculo, con le sue due notine ripetute, una bassa e l’altra alta. L’uccello è sempre imitato dal violino solo. Dopo un po’ si sento- no anche i canti della tortora e del cardellino. Poi si alza dolcemente una brezza, che però aumenta fino a diventare forte come la bora che spira a Venezia. Un contadinello un po’ pauroso di quel ventaccio si mette a piangere. Ma il vento poco pietoso continua a tirare. Adagio. Le notti d’estate sono tormentate anche da sciami di mosche e di mosconi. Come se non bastasse, esplodono all’improvviso i tuoni. Poi le mosche, e poi, velocissimi, di nuovo i tuoni.
Presto. Fra tuoni e fulmini cade anche la grandine. Un disastro: le spighe del grano si rompono, col pericolo che il raccolto sia rovinato. Il temporale impetuoso dura a lungo. Il contadino aveva avuto le sue buone ragioni per mettersi a piangere.


L’AUTUNNO


Allegro. In autunno si fa il vino e in campagna tutti ballano e cantano, perché la vendem- mia è andata bene. Qualcuno beve un po’ troppo e, quando la danza smette, la musica imi- ta i passi degli ubriachi che non riescono a stare in piedi e straparlano. La danza prosegue, ma ora c’è solo un ubriaco addormentato che neanche la musica riesce a svegliare. Adagio molto. Gli ubriachi se la dormono, perché sull’immagine dell’allegra vendemmia è sceso il silenzio della notte.
Allegro. L’autunno è anche tempo di caccia. All’alba, con corni e fucili, i cacciatori marciano verso i nascondigli delle “belve”. Una – forse un cinghiale – scappa via ferita tra fucilate e i latrati dei cani. La preda minaccia tutti, ma alla fine muore. Lieto fine (ma per i cacciatori).


L’INVERNO


Allegro non molto. Col freddo si trema. Non resta che correre e battere i piedi per riscal- darsi. Ma i venti sono paurosi nella stagione del gelo. Tanto che si arriva a battere i denti. È sempre il violino, con i suoi acuti ribattuti veloci, a rendere le bocche che tremano.
Largo. Quando piove, per fortuna si sta tranquilli vicino al fuoco.
Allegro. Ma, quando si esce all’aperto, a camminare sul ghiaccio il piede rischia di scivo- lare. E si cammina piano piano. E, pur facendo attenzione, a volte si cade per terra! E allo- ra tanto vale correre veloci anche sulle distese gelate. Poi però il ghiaccio si rompe e sotto c’è l’acqua…
E di nuovo il vento di scirocco è così forte che sibila sotto le porte sbarrate. E arrivano an- che gli altri venti, tra cui la fortissima bora. Eppure anche l’inverno è una stagione bella, anche se un po’ tempestosa…

Archi della Scala


Il gruppo cameristico è composto da 13 strumentisti membri dell’Orchestra del Teatro alla Scala. La formazione, esistente da quarant’anni, ha svolto un’intensa attività concertistica in tutto il mondo. Nella veste attuale si avvale della presenza delle prime parti dell’Orche- stra del Teatro come il primo violino di spalla, il primo dei secondi violini, il primo vio- loncello e il primo contrabbasso. Il repertorio affrontato è molto vasto, con un’attenzione particolare al repertorio del Seicento-Settecento, che include Bach, Vivaldi, Tartini, Haydn e Mozart. I programmi possono spaziare da proposte di notevole popolarità come Le quat- tro stagioni di Vivaldi o il repertorio per archi di Mozart, come alle composizioni del pri- mo Novecento italiano (Respighi, Rota) ed europeo (Elgar, Hindemith, Bartók), giungen- do fino al repertorio dei nostri giorni, eseguendo brani composti per questa formazione dai maggiori autori contemporanei.

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Francesco De Angelis


Primo violino di spalla e violino solista dell’Orchestra del Teatro alla Scala e della Filar- monica della Scala, ha iniziato lo studio del violino a sei anni con Giovanni Leone, par- tecipando poi giovanissimo a una delle più importanti manifestazioni musicali italiane, la “Rassegna giovani violinisti” Città di Vittorio Veneto, vincendo il primo premio per tre volte negli anni 1982, 1984 e 1985. Successivamente, seguendo il suggerimento del soli- sta Jean-Jacques Kantorow, entra nella “Académie de Musique Tibor Varga” di Sion (Svizzera), dove inizia il perfezionamento seguito dal Maestro Tibor Varga. A diciannove anni vince il posto di Concertino dei primi violini nell’Orchestra del Teatro alla Scala e nel 1993 vince il 1° premio, assegnato all’unanimità, al 21° Concorso Nazionale di Violi- no, Città di Vittorio Veneto.
Nel 1995 vince l’audizione come Primo violino di spalla dell’Orchestra del Teatro La Fenice di Venezia e nel 1998, al concorso internazionale per Primo violino di spalla del Teatro alla Scala, viene scelto da Riccardo Muti per ricoprire il ruolo nell’Orchestra e nella Filarmonica della Scala. Ha partecipato al progetto in sostegno della pace “Le vie dell’Amicizia” del Ravenna Festival, suonando con la Filarmonica della Scala sotto la di- rezione di Riccardo Muti in alcune città simbolo: Sarajevo (luglio 1997), Beirut (luglio 1998), Gerusalemme (luglio 1999), New York a Ground Zero, nel primo anniversario della caduta delle Torri gemelle (settembre 2002) e a Damasco (luglio 2004).
Attivo anche come solista, ha suonato in alcune tra le più prestigiose sale da concerto del mondo, tra le altre, nella stagione 2005-06, con la Filarmonica della Scala diretta da Semyon Bychkov ha eseguito il Concerto in la min, op. 82 di Glazunov, e nel 2011 sem- pre alla Scala, ha tenuto un concerto in Trio con Alfredo Persichilli al violoncello e Lang Lang al pianoforte ottenendo in entrambe le occasioni uno straordinario successo di pub- blico e il consenso della critica. Altrettanto intensa è la sua attività nel campo della musica da camera con solisti di grande prestigio. Dedito anche all’insegnamento, è docente al Conservatorio Superiore di Losanna oltre a tenere masterclass in Brasile, Francia, Corea, Giappone, Italia e Svizzera.


Gioele Dix


Attore, autore e regista milanese, inizia la sua carriera nel teatro, formandosi al fianco di grandi maestri come Franco Parenti e Sergio Fantoni. Intraprende poi la carriera di solista comico partecipando a popolari trasmissioni tv: dal 1997 è a Mai dire gol, nel 2007 entra nel cast di Zelig. Notevoli a teatro alcune sue commistioni fra classico e comico: Edi- po.com (2003-2005) sul mito di Edipo Re e La Bibbia ha (quasi) sempre ragione (2003- 2008) sulle storie dell’Antico Testamento. Per quattro stagioni consecutive è stato in sce- na con Il malato immaginario di Molière, per la regia di Andrée R. Shammah. Attualmen- te è in tournee con Vorrei essere figlio di un uomo felice, testo di cui è autore, ispirato ai primi quattro canti dell’Odissea. Molte anche le sue regie teatrali, fra le quali Oblivion show, Sogno di una notte di mezza estate, Matti da slegare, Fuga da via Pigafetta e A te- sta in giù, la più recente, con Emilio Solfrizzi da un testo di Florian Zeller. Ha pubblicato numerosi libri tra i quali Il manuale del vero automobilista e Si vede che era destino che sono di stampo umoristico. In Quando tutto questo sarà finito invece ha narrato le vicissi- tudini della sua famiglia durante gli anni bui della seconda guerra mondiale. I due titoli più recenti sono: Dix Libris – La mia storia sentimentale della letteratura, dedicato ai venti libri più importanti della sua formazione culturale e la nuova edizione de La Bibbia ha (quasi) sempre ragione.

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