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La tolleranza: Pietro Morello – Medico della felicità
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La tolleranza: Pietro Morello – Medico della felicità

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Per la rubrica “Pietro Morello – Medico della felicità” oggi si parla di tolleranza e intolleranza

CRITICA ALL’INTOLLERANZA

L’intolleranza non ha futuro.
Si consideri, per semplificare, l’intollerante come colui che rifiuta categoricamente l’errore e che impone se stesso e le proprie convinzioni per far sì che non si cada in questo suddetto errore, poiché convinto del fatto che il proprio pensiero sia corretto in senso assoluto.

Il soggetto in questione, se dotato di raziocinio, sarà consapevole del fatto che se qualcuno “portatore di errore” fosse fisicamente o retoricamente più prestante di lui, quindi in grado di reprimere il sui pensiero in qualche modo, si ricadrebbe inesorabilmente nell’errore stesso.

Per chiarificare la questione: il soggetto A (intollerante) pretende di non cadere in un determinato errore, identificabile con “e”, e per farlo ritiene di poter imporre se stesso e il proprio pensiero. Subentra B (intollerante anch’egli), che in un modo o nell’altro sarà in grado di reprimere il pensiero di A. B, secondo A, è portatore di “e” (da qui in poi perciò verrà caratterizzato come Be). A diventa consapevole perciò del fatto che se tutti continuassero a essere intolleranti si ricadrebbe o nell’errore stesso, oppure in uno stato di guerra costante; perciò ritiene la tolleranza come eventuale soluzione rispetto all’errore stesso.

LA VERITA’ E LA TOLLERANZA

Il rapporto che intercorre tra tolleranza e verità, per quanto non immediatamente chiaro, è esistente e dimostrabile.

Si può infatti pensare, ragionevolmente, che credere in una verità, e considerarla tale in senso assoluto, sia un primo chiaro rifiuto al principio della tolleranza, in quanto se si considera vero ciò che si pensa, e di conseguenza non vero ciò che è il pensiero altrui, allora si riterrà legittimo voler imporre il proprio pensiero, in quanto vero.
Di conseguenza si è portati a pensare che sia necessario improntare la propria esistenza o sul valore della tolleranza (e quindi vivere in un rassegnato scetticismo), oppure difendere il proprio pensiero, e quindi rifiutare ogni forma di tolleranza del pensiero altrui.

Rifiutando per principio la seconda strada percorribile, ovvero la costante difesa del proprio pensiero e il conseguente tentativo di imposizione dello stesso, in quanto creerebbe uno stato di guerra e conflitto perenne, si può ritenere che il primo, quindi vivere in uno stato di tolleranza e accoglienza del pensiero altrui, rifiutando perciò l’idea di possedere la verità, sia la base per una convivenza civile.

Non è così. Per dimostrarlo è sufficiente basarsi su una frase di Bobbio: “ la tolleranza non riposa sulla rinuncia della propria verità […]”, a sostegno di questa tesi basti pensare che se si rinunciasse alla propria verità si considererebbe che essa non sia possibile da imporre a nessuno, e di conseguenza si cade nell’accettare che se non si può comandare il giusto, è giusto ciò che è comandato. Questo atteggiamento di tolleranza incondizionata e di scetticismo verso se stessi è minatorio nei confronti di una civiltà democratica.

Inoltre è possibile dimostrare che la tolleranza può esser il mezzo diretto di accesso a una verità assoluta solo se si possiede una propria idea di verità e non si cade nell’errore esposto poc’anzi di considerare corretta solo la verità imposta.
Mi spiego. La verità del singolo può essere considerata come una parte di una verità assoluta , alla quale nessuno ha accesso per principio, quindi come un frammento di un puzzle.

Se si accetta (quindi si tollera) il fatto che qualcun altro può possedere un altro frammento del puzzle, quindi che sia il mio che il suo siano parte della stessa verità, si arriva non solo al raggiungimento di una convivenza tra tolleranza e verità, ma anche al rapporto utilitaristico tra esse, infatti mantenendo, o variando di poco, a seconda dell’esperienza conoscitiva personale, la propria verità (senza però ricadere in un fanatismo spregiudicato) e considerando vere anche altre idee si può arrivare, o mirare ad arrivare, a una coesione di pensieri che porterà poi infine al raggiungimento di una verità assoluta, che può esser differente per ogni comunità.

Ecco quindi che si arriva al principio di comunione delle idee, simili e non, che è la base fondante di uno stato democratico che accontenta il singolo, non in quando portatore di verità assoluta, ma in quanto artefice della verità comune.

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Andrea Renzulli
CRITICA ALLA TOLLERANZA

Giunti alla conclusione che la tolleranza è fattore positivo, derivato dal buonsenso comune e fautore di verità, è necessario individuare la sua grande, la quale, come sosteneva l’epistemologo K. Popper, al pari della libertà non può esser sconfinata, altrimenti rischia l’autodistruzione.

Infatti se un soggetto è tollerante nei confronti della verità altrui, come abbiamo visto, il risultato sarà una convivenza civile volta al raggiungimento del bene comune, ma nel caso in cui la tolleranza venga estesa ad ogni campo della quotidianità facilmente può far si che il soggetto tollerante a pieno si autodistrugga accogliendo l’imposizione altrui.

Da questo deriva il fatto che una società non può esser priva di libertà e di tolleranza, quanto non può basarsi solo su di esse, nel caso della libertà perché porterebbe a una sregolatezza costante e perciò al mancato sostegno del principio di stato, nel caso della tolleranza, più nello specifico, porterebbe a una situazione in cui si accoglie anche ciò che è il male della società e che la porta a un circolo vizioso autodistruttivo.

Ho desiderato sfruttare questa iperbole della realtà per giungere ad una conclusione:
La tolleranza è fattore positivo, in quanto garantisce coesione, integrazione, abbattimento dei confini e (riutilizzando la metafora della “verità”) raggiungimento della verità assoluta. Ma, come ci insegna la storia, non può essere ne illimitata, ne applicata ad ogni realtà.

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