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Il costruttore Solness
Scuro Chiaro

Il costruttore Solness

“Il costruttore Solness” al Piccolo Teatro Grassi
dal 16 aprile al 12 maggio 2019

da Henrik Ibsen
uno spettacolo di Alessandro Serra
con Umberto Orsini nel ruolo di Solness
e Lucia Lavia, Hilde; Renata Palminiello, Aline; Pietro Micci, Dottor Herdal; Chiara Degani, Kaja; Salvo Drago, Ragnar
e con Flavio Bonacci nel ruolo di Knut Brovik
produzione Compagnia Orsini e Teatro Stabile dell’Umbria

Un dramma d Ibsen raramente rappresentato, fortemente voluto da Umberto Orsini, attore e capo compagnia.

È da moltissimo tempo che nutro per Solness un interesse vivissimo. Paradossalmente le ragioni di questa passione stanno nella consapevolezza delle difficoltà che questo capolavoro di Ibsen può creare a chi osasse metterlo in scena. (U. Orsini)

Un dramma che il regista Alessandro Serra ha deciso di ambientare in luoghi grigi, oscuri, talora claustrofobici, con tagli di luce spesso obliqui, che, illuminando, creano spazi di ombre.

Suoni scanditi di meccanismi in movimento, in alcuni casi bruschi, metallici, laceranti.

Un dramma caratterizzato da lunga pause, da angosciosi silenzi, da movimenti lenti, quasi meccanici.

Quinte altissime, che si muovono a determinare i diversi ambienti, che però appaiono sempre lo stesso locale grigio e monotono e privo di vita.

Storia di un uomo ormai vecchio al apice del suo successo, del potere attanagliato da fantasmi, da demoni che fanno si che, nonostante abbia agli occhi del mondo, tutto, sia infelice e assediato dalla paura.

Halvard Solness insoddisfatto, assediato dal timore che i giovani, nella fattispecie il suo dipendente Ragnar, possano insidiare il suo successo ed il suo potere e possano spodestarlo.

Halvard Solness la cui ambizione creativa lo ha portato a sfruttare i nemici e gli amici, addirittura la propria famiglia, pagando un prezzo altissimo, la perdita di due figli appena nati ed una depressione funerea della moglie.

Halvard Solness un uomo solo, che non ha nessuno con cui confidarsi veramente, finché non entra, o meglio rientra, nella sua vita una giovane donna, Hilde Wangel.

Una ragazza fugacemente incontrata dieci anni prima e che ora irrompe nei suoi giorni con l’ardore, la fantasia, l’incoscienza, la volubilità e la sensualità tipica della sua giovinezza.

Hilde con le sua fanciullesca richiesta che vengano mantenute le promesse fattegli da Solness quando era una bimba, “un suo regno” – “un castello in aria”

Hilde che fa emergere il bisogno che ha l’essere umano di costruire castelli in aria, sogni, luoghi della fantasia dove realizzare i propri desideri.

Hilde che risveglia in Solness il rimpianto, la vergogna, il senso di colpa, di aver desiderato intensamente il successo a discapito di tutto, tanto da liberare i propri demoni per aiutarne il compimento.

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Hilde che ricorda a Solness come almeno una volta nella propria vita si sia spinto oltre il proprio limite, la paura delle altezze, per sfidare Dio e che lo spingerà a superare nuovamente questo limite nel intento di continuare a sentirsi giovane, a costruire castelli in aria.

Molti, molti spunti di lettura, incredibilmente contemporanei, forse perché l’uomo non passa mai di moda.

Un superlativo Umberto Orsini che in una intervista ha dichiarato di non voler caratterizzare il personaggio, ma di voler portare in scena se stesso.

È la storia di tanti assassinii. Giovani che uccidono i vecchi spingendoli ad essere giovani e vecchi che uccidono se stessi nel tentativo di raggiungere l’impossibile ardore giovanile. Una storia segnata da una grande carica erotica e da uno spregiudicato esercizio del potere.

Tutto il cast è all’altezza di questo leone del palcoscenico.
La giovane Lucia Lavia, figlia d’arte, di grandi capacità, presenza scenica, volubile, fascinosa, ambigua, il tutto quanto basta.
Un ottima Renata Palminello, Aline, una moglie atonica, triste, spettrale, guidata ormai solo dal dovere, che vive ancora del dolore della perdita, non solo dei figli, ma delle piccole perdite di oggetti segni, memoria delle sue radici.
Un giustamente rabbioso Salvo Drago, Ragnar, dipendente di Solness, figlio di un socio/amico, di questi, da lui rovinato. Desideroso, bramoso di rivalsa, di affermazione.

Un opera che costringe a gettare uno sguardo alle nostre paure, che costringe a fare il punto della nostra vita.

Quanto abbiamo sacrificato al potere, al ambizione? Quanti castelli in aria abbiamo ancora da costruire?

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