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UTOYA: LA NOSTRA RECENSIONE
Scuro Chiaro
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La nostra recensione con video-intervista di Utoya

LO SPETTACOLO

Dal testo di Luca Mariani “Il silenzio sugli innocenti” Edoardo Erba scrive “Utoya” per raccontare appunto la strage appunto di Utoya del 2011.

Scrivere un testo su quanto è avvenuto a Utøya, in Norvegia, nel 2011 è un’impresa impegnativa. Il Teatro non è il luogo della documentazione e dell’informazione in primis, è la sede di una riflessione. E la riflessione su un avvenimento del genere sconcerta: non è un gesto di follia, ma contemporaneamente lo è. Non è cospirazione politica, ma contemporaneamente la è. Non è un esempio di inefficienza dei sistemi di difesa, e tuttavia lo è. Non è un caso di occultamento dell’informazione, però lo è.

Edoardo Erba

Non è facile mettere in scena la contemporaneità e soprattutto non è facile farlo senza fare cronaca ma proponendo una riflessione costruttiva. Questa è la sfida di cuiEdoardo Erba insieme alla regista Serena Sinigaglia, a Luca Mariani e agli attori Mattia Fabris e Arianna Scommegna hanno deciso di farsi carico.

Lo spettacolo è andato in scena fino al 16 febbraio nella splendida cornice del Teatro Litta.

LA TRAMA

Al centro della vicenda c’è, appunto, la strage di Utoya. Ma come viene trattata?

Mai viene rappresentato il carnefice nè le vittime: i protagonisti scelti sono personaggi “secondari” rispetto all’accaduto. Sono i testimoni dell’evento in cui è più facile riconoscersi: quelli che “potevamo essere noi”.

I due attori in scena interpretano tre coppie diverse: due fratelli, due poliziotti e marito e moglie. Attraverso il racconto di un loro spaccato di vita lo spettatore viene immerso nell’atmosfera che si respirava in Norvegia quel 22 luglio 2011.

IL CAST

Arianna Scommegna è la donna nelle tre coppie rappresentate: rispettivamente una moglie (e madre di una delle ragazze a Utoya), una sorella (e vicina di casa dell’attentatore) e una poliziotta (di servizio durante la strage).

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Arianna Scommegna

Mattia Fabris è invece marito (e padre), fratello e poliziotto.

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Mattia Fabris

Entrambi regalano al pubblico fortissime emozioni grazie ad un’intensa interpretazione. La tensione e la rabbia crescono fino ad un climax sul finale che arriva dritto alla pancia dello spettatore.

Si sente tutto il dolore di una madre, il rimorso di un padre, la paura e la sensazione di impotenza dei poliziotti e di due persone che hanno vissuto per mesi accanto ad un assassino.

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Impossibile rimanere impassibili davanti ad una performance di questo tipo: la sala è completamente ammutolita e gli occhi sono tutti attenti e rivolti agli sviluppi di una trama di cui peraltro si conosce già il finale.

La durata dello spettacolo permette di concentrare tutto senza diminuire mai di intensità e lo spettatore esce da teatro con molte domande.

REGIA E SCENOGRAFIA
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Serena Sinigaglia

La scenografia è minimale così come la regia di Serena Sinigaglia: a connotare le tre coppie solo il cambio di gestualità degli attori stessi e due giacche. Sulla scena solamente dei tronchi usati come sedie e degli specchi rotti, un’immagine molto suggestiva.

I due attori vagano sul palco sputando rabbia e sconforto secondo precisi disegni schematici. Fortissima la scena in cui sbattono le giacche in aria quasi a scaricare la tensione accumulata: un momento di sollievo anche per lo spettatore che resta avvinghiato alle emozioni dei personaggi.

LE CONCLUSIONI

Utoya è uno spettacolo perfettamente riuscito: un’ora in cui tutta l’attenzione è rivolta al palcoscenico che “rapisce” il pubblico grazie alle minimali e calibrate scelte registiche, al testo e all’interpretazione di due attori come Mattia Fabris e Arianna Scommegna.

Uno spettacolo che va visto e che andrebbe portato nelle scuole, per educare i ragazzi a vedere del buon teatro e per permettergli di empatizzare con persone comuni che hanno vissuto eventi purtroppo parte del nostro quotidiano.

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